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Che cosa lega Sofonisba Anguissola e Mary Palchetti? La pacatezza, la serenità che caratterizza entrambe le maniere, gli stili inevitabilmente diversi; la sicurezza, l'imperturbabilità; la fedeltà alla propria ricerca: quanto sta al di là dell'arte come sapere; l'immediatezza, indefinibile, dell'arte che non si limita a essere letteratura, ma è immediatamente scrittura. Sofonisba Anguissola (Cremona 1531 - Palermo 1625) visse alla corte di nobili e di re, da Madrid a Palermo a Genova e ancora a Palermo, dove morì ultranovantenne. In un'epoca in cui le donne, salvo rari casi, non esercitavano una professione, a Sofonisba Anguissola gli impedimenti venivano dalle convenzioni, non dal suo dedicarsi all'arte. Oltre a essere molto nota per la bellezza e la perfezione della sua arte, fu protetta, anche tra i massimi magnati dell'epoca, da una sorta di corazza: l'arte nella versione del ritratto. Condizione che le diede modo di non dover produrre piagnistei né generare commozioni. Volti chiari, in apparenza sereni, sovrastanti vesti cupe, ritagliati su fondali da obitorio erano parte integrante della regia finzione e dell'effettiva atmosfera di perenne cordoglio. Rimase, sotto Filippo II, un'intrepida rinascimentale "classica", fedele a una rotta che aveva tracciato a se stessa fin dagli esordi, quella che le era stata dettata da Michelangelo e da Leonardo. Mary Palchetti nasce a Clusone, da dove passa a Bergamo, a Milano, poi a Cortina d'Ampezzo: lì al memorabile Verockay King's Club riunisce famosi personaggi italiani e stranieri. Da Cortina va poi a Roma, dove ospita artisti nella sua casa di via Margutta. Da ragazza briosa com'è stata, in un suo precedente samsara, è poi diventata una donna eremita a Clusone. Perché, dice, l'ha stancata la "corsa dietro galleristi e gallerie"... "un gioco del gatto con il topo". Un'artista straordinaria, dedita a quello che usiamo chiamare astrattismo. Dice Francesco Saba Sardi: "L'artista non può non essere un eremita. Tra l'artista e il potere s'interpone così un filtro". Lei si chiede appunto "se un lavoro fatto nell'isolamento abbia ancora una possibilità di essere letto".